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Campofelice di Fitalia: borgo siciliano tra tradizione e tranquillità

Campofelice di Fitalia un borgo in cui ci siamo ritrovati, dopo una notte di paure e incertezze. Un tranquillo angolo di Sicilia, dove il silenzio e la semplicità del paesaggio hanno accolto il nostro risveglio, facendoci dimenticare le difficoltà della sera precedente.

Abbiamo lasciato Cefalù nel tardo pomeriggio del 31 luglio, dopo una breve sosta dedicata unicamente al bucato presso una lavanderia self service. Non potevamo immaginare che ci saremmo imbattuti in una notte difficile e senza riposo.

L’app Park4night, solitamente nostra alleata fidata, non riusciva a indicarci un luogo adatto dove fermarci per la notte. La costa in direzione Palermo era letteralmente presa d’assalto: traffico intenso, spiagge affollate e nessuna possibilità di sosta libera.

Ci lasciamo guidare un po’ dall’istinto, imboccando strade a caso nella speranza di trovare un angolo tranquillo dove fermarci per la notte. A un certo punto decidiamo di dirigerci verso l’entroterra, convinti che lontano dalla costa sarebbe stato più semplice trovare un posto silenzioso e, soprattutto, sicuro, prima che facesse buio. Ma i chilometri scorrevano e attorno a noi solo campagne, colline e strade secondarie, senza traccia di un parcheggio adatto.

Il sole cominciava a calare, e con l’arrivo della sera cresceva anche il nervosismo: non ci piace guidare né cercare un posto per la notte al buio, quando tutto diventa più complicato e poco rassicurante.

In più, avevamo una necessità importante: la mattina successiva dovevo sostenere l’esame finale del corso di Web Marketing che avevo seguito nelle settimane precedenti. Era fondamentale trovare un luogo dove poter contare su una connessione internet stabile. La pressione cominciava a farsi sentire.

La strada continuava a salire, serpeggiando tra curve sempre più strette e panorami che si aprivano ampi e vertiginosi oltre il guardrail. Con ogni metro guadagnato in altezza, cresceva anche la mia inquietudine. Lo sguardo correva involontariamente verso il vuoto a destra, dove le colline si facevano montagne e le valli sprofondavano all’orizzonte. E come spesso mi succede, quando la quota si alza, la paura mi prende allo stomaco.

Cerco di distogliere lo sguardo, chiudo gli occhi, respiro a fondo. Ma ormai l’agitazione è lì, attaccata come un peso sul petto. Il cuore corre un po’ più veloce, le mani si stringono.

Max, al volante, si accorge subito del mio disagio. E come sempre, cerca di tranquillizzarmi. Ma lo fa a modo suo, con quella pazienza nervosa che ha quando sente che sto andando in panico. “Non guardare di là… non ci pensare”, dice, ma in quel momento ogni parola mi arriva come un rimprovero e peggiora solo la tensione.

Eravamo affamati, stanchi, irritati da quella ricerca infinita di un posto per la notte che sembrava non voler finire mai. E ora anche questa salita, il buio che iniziava a farsi strada e la mia paura che rischiava di mandare tutto fuori equilibrio. Mi sforzo di calmarmi, lo devo a me stessa e a lui. Devo riuscire a rilassarmi, a trovare una mia quiete interiore. In fondo, ogni viaggio è anche una prova da superare.

Notte insonne: tra solitudine e inquietudine

Ad un certo punto, dopo chilometri di curve e speranze deluse, intravediamo le luci di un piccolo centro abitato. Decidiamo di deviare, sperando che quel paesino silenzioso possa offrirci un angolo tranquillo dove fermarci per la notte. Ci infiliamo tra le sue viuzze strette, un dedalo di salite e discese che sembrano rincorrersi sulle pendici della collina. L’asfalto è consumato, le case ci sfiorano i finestrini e ogni curva è una scommessa contro lo spazio.

Ogni piazzetta sembra troppo inclinata, ogni slargo troppo piccolo, ogni possibilità… semplicemente non adatta. Giriamo in tondo, un po’ frustrati, finché decidiamo di abbandonare l’idea. Torniamo lentamente verso l’uscita del paese, ormai con poche alternative in mente.

È allora che, sulla destra, intravediamo una rientranza lungo la strada: un piccolo spiazzo con una fontana in pietra, antica e silenziosa, che sembra invitarci a una sosta. Senza bisogno di parlare, ci fermiamo. Scendiamo dal van, stanchi ma curiosi, e ci guardiamo intorno. Il posto è quieto, avvolto da quella calma serale che solo i borghi più remoti sanno regalare e dal buio assoluto.

Forse non è il posto ideale per fermarsi a dormire, ma almeno possiamo respirare, riflettere, decidere con un po’ più di lucidità il nostro prossimo passo.

Intorno a noi, solo buio pesto. L’unica fonte di luce era un vecchio lampione che tremolava leggermente sopra la fontana, gettando ombre danzanti sulla pietra bagnata. Dietro di noi, una casa abbandonata, con le finestre vuote che sembravano occhi spalancati nel nulla. Il silenzio era quasi irreale, interrotto solo da un rumore misterioso e continuo, come un sibilo metallico che sembrava avvicinarsi e allontanarsi a ondate, senza una direzione precisa.

Ci guardavamo intorno, cercando di capire cosa potesse essere, ma nel buio non si distingueva nulla. Sembrava il suono di grandi pale che tagliavano l’aria… e infatti, la conferma sarebbe arrivata solo la mattina seguente: di fronte a noi si estendeva un intero parco eolico, nascosto nella notte ma ben visibile alla luce del giorno.

Erano ormai le undici passate. Max era stanco, non aveva più voglia di guidare. Anche io sentivo la tensione accumulata e il bisogno di una tregua. Decidiamo di fermarci lì, anche se il posto non ispirava certo tranquillità. Non alziamo il tetto a soffietto; meglio restare pronti a partire in un attimo, se necessario. Ci sistemiamo alla meglio, ognuno nel proprio angolo: io sulla panca posteriore, ancora vestita, e Max sul sedile del passeggero ruotato verso l’interno, con le gambe distese sul puff che copre il wc.

Era una di quelle notti dove il sonno arriva tardi e solo a sprazzi, ma avevamo fatto il possibile. In qualche modo, anche questo è viaggio: adattarsi, accogliere l’imprevisto, e magari riderci su il giorno dopo.

Quel posto metteva i brividi. Intorno a noi, il silenzio era quasi assordante, interrotto solo dal lontano ronzio delle pale eoliche e dal battito del nostro stesso cuore. Nessuna anima viva in giro, nessuna macchina di passaggio, nessun segno di vita. Era come essere finiti in una bolla sospesa nel tempo, lontani da tutto.

Dormire, poi, era una parola grossa. È stata più una veglia a occhi semichiusi, una sorta di dormiveglia inquieto, con il corpo stanco ma la mente in allerta. Ogni scricchiolio sembrava amplificato, ogni piccolo rumore diventava un campanello d’allarme. A peggiorare le cose, la scomodità: rannicchiati nei nostri angoli di fortuna, con i muscoli in tensione e i pensieri che correvano più veloci del sonno.

E come se non bastasse, nessun segnale, nessuna connessione, nessuna possibilità di comunicare con l’esterno. Eravamo al buio, letteralmente e metaforicamente. Isolati. È stato uno di quei momenti in cui ci si rende conto di quanto sia fragile il senso di sicurezza quando si è lontani da tutto.

Ma anche questo, in fondo, fa parte dell’avventura.

Finalmente, la luce del giorno fa capolino. Apriamo gli occhi ancora prima di svegliarci davvero, stanchi e indolenziti per la notte trascorsa in posizioni improbabili. Sembravamo reduci da un accampamento di fortuna, e in effetti lo eravamo. Ma era ora di rimettersi in moto: dovevo assolutamente trovare un posto con connessione per poter sostenere l’esame del corso.

La vecchia fontana, silenziosa guardiana della notte, scrosciava acqua limpida e fresca. La utilizziamo per lavarci il viso e scrollarci di dosso la stanchezza e l’agitazione delle ore passate.

Poi ripartiamo, dirigendoci verso il cuore del paese. E lì, la sorpresa: la luce del mattino ha trasformato tutto. Dove la sera prima c’era solo buio e inquietudine, adesso si apriva un mondo sereno, tranquillo, quasi fiabesco. I colori, le case, le colline… tutto sembrava diverso, più vivo.

Abbiamo lasciato che il nostro fedele van ci portasse fino alla fine del paese, là dove l’asfalto finiva e iniziava la bellezza. Davanti a noi, un piccolo belvedere si apriva come una terrazza sospesa sul silenzio, regalandoci un panorama che ci ha tolto il fiato: colline dolci che si rincorrevano all’infinito, illuminate da una luce dorata.

Dopo la notte più scomoda e inquieta del viaggio, svegliarsi in un luogo così è stato come ricevere un premio inaspettato. Un piccolo miracolo, sì. Di quelli che solo il viaggio, con le sue curve impreviste e le sue sorprese, sa regalarti.

Belvedere di Campofelice di Fitalia visto dal van.
Belvedere visto dal van

A piedi ci dirigiamo verso il primo bar che troviamo aperto lungo il viale principale, Corso Vittorio Emanuele. Scegliamo due cappuccini fumanti e due brioches irresistibili: Max opta per quella con la crema, io invece non posso resistere a quella al pistacchio. Un gusto così delizioso che, senza pensarci due volte, facciamo il bis! La titolare, una signora simpatica e affabile, ci accoglie con un sorriso che ha reso la mattinata ancora più piacevole. Un piccolo, grande piacere che ci ha regalato il risveglio.

Affronto e supero l’esame, immersa in un panorama che toglieva il fiato. La tranquillità che ci circondava era palpabile, interrotta solo dal cinguettio degli uccelli e dal dolce calore del sole che ci accarezzava. Il silenzio avvolgeva ogni cosa, creando l’atmosfera perfetta per concentrarmi.

Io al bar in Corso Vittorio Emanuele a Campofelice di Fitalia, Palermo.
Io al bar di Campofelice di Fitalia

Campofelice di Fitalia: un angolo di autenticità siciliana tra tradizioni e tranquillità

Questo incantevole paesino, che conta appena 466 abitanti, si chiama Campofelice di Fitalia ed è situato nella provincia di Palermo, a 734 metri sul livello del mare.

Pur essendo ufficialmente nato nel 1814, con la fondazione delle prime abitazioni, le sue radici affondano in un passato più remoto, risalente al 1101, durante l’epoca feudale.

Campofelice di Fitalia è un luogo che conserva ancora il fascino delle antiche tradizioni, un angolo di Sicilia che racconta storie di un tempo lontano, sospeso tra la storia e la natura che lo circonda.

Il nome di questo piccolo borgo ha un significato profondo legato alla sua terra. “Campo” e “felice” evocano la fertilità dei terreni circostanti, mentre “Fitalia” richiama l’immagine di una terra particolarmente fruttifera e prospera. Un nome che, da solo, racconta la ricchezza naturale e l’incanto della sua posizione.

Nonostante la sua bellezza paesaggistica e la sua storia, Campofelice di Fitalia non vanta numerosi punti di interesse turistico. L’unico edificio che si distingue nel paesaggio del paese è la Chiesa di San Giuseppe, situata circa a metà del viale principale.

Purtroppo, non sono riuscita a trovare molte informazioni su questa chiesa, ma è comunque un angolo di tranquillità che testimonia la vita religiosa del borgo.

Chiesa di San Giuseppe a CAmpofelice di Fitalia, Palermo.
Chiesa di San Giuseppe

Per il pranzo, abbiamo scelto di assaporare i prodotti tipici del luogo e, curiosando un po’, ci siamo diretti verso l’unico panificio/gastronomia aperto. Con grande piacere, ci ha preparato due panini giganteschi e squisiti, farciti con ingredienti freschi e locali.

Li abbiamo gustati con calma, seduti su una panchina nel parchetto vicino, circondati dal silenzio del paese. Era incredibile come, in quel momento, fossimo gli unici a percorrere le strade. Il borgo, immerso in una tranquillità quasi surreale, sembrava davvero sospeso nel tempo.

Campofelice di Fitalia è stata una piacevole e inaspettata sorpresa, un vero e proprio balsamo dopo la scomoda notte precedente. Questo borgo incantevole conserva una genuinità rara, dove il tempo sembra fermarsi.

Le persone, accoglienti e sorridenti, si fermano a salutarti per strada, facendo sentire ogni visitatore parte della comunità. Qui, il senso di familiarità è palpabile, con i residenti che si conoscono tutti e un’atmosfera di serenità che permea ogni angolo del paese.

È stato affascinante vedere il vecchio camion della frutta, con il suo altoparlante che annuncia il suo passaggio, risuonare tra le strade del villaggio, aggiungendo un tocco di nostalgia e tradizione.

Dopo aver gustato il nostro pranzo, ci siamo rimessi in viaggio, pronti a scoprire la nostra prossima destinazione.

TravelPodcast ‘Avventure su quattro ruote!’

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Lucy

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